Il repertorio del gruppo Pitrió’ mmia è composto esclusivamente da materiale tradizionale ed è come un viaggio che racconta ciò che avveniva nei campi nel corso dell’anno, da Gennaio a Dicembre.
Questa è solo una parte del repertorio del gruppo.
CANTI DELL’INVERNO
LA PASQUELLA
Siamo ai primi di Gennaio, nei giorni che precedono l’Epifania. È d’uso, in questo periodo dell’anno, andare a “cantà’ la Pasquella” per le case del vicinato.
La Pasquella è un canto rituale di questua. Questo genere di canti venivano portati di casa in casa da gruppi di questuanti in determinate ricorrenze dell’anno.
IL SALTARELLO PETRIOLESE
Trascorre Gennaio e arriva il Carnevale, che inizia ufficialmente il 17 Gennaio. La gente delle campagne passa le serate nelle stalle, riscaldate dalle mucche.
Si aduna il vicinato; una sera qua e una sera là; si fa di tutto: si costruiscono cesti, zoccoli e arnesi, si gioca a carte, le donne tessono al telaio o rammendano vicino al focolare; mentre nelle case dove c’è gioventù, si fa festa e l’immancabile saltarello è di rigore.
Il saltarello appunto: il re delle espressioni musicali della tradizione popolare, il cavallo di battaglia delle danze, il miglior ballo per chi voleva conquistare una ragazza.
Infatti, portare a termine questa danza era certamente una prova di grande bravura.
Il saltarello, in genere, ha una struttura modulare; il saltarello alla petriolese, nello specifico, si compone di cinque moduli, che nella tradizione vengono chiamati parti.
Ognuna delle parti ha una figura caratteristica nella danza e costituisce il seguito della precedente:
– “il giro”: è la parte in cui i due ballerini girano uniti su se stessi come una trottola;
– la “parte cantata” e “lu spontapè’” hanno entrambe la stessa figurazione cioè la coppia si separa e i ballerini ballano uno di fronte l’altro;
– “la parte vàssa” e “lu filó’” sono anche questi molto simili fra loro. Qui i ballerini sempre sciolti ma con le mani poggiate una sulla spalla dell’altro, sfociano in un ritmico e continuo battere del piede destro.
Le cinque parti possono seguire l’ordine di esecuzione di cui sopra ed è sempre il giro a unire le altre quattro, ma il tutto è guidato dal suonatore e varia a seconda della presenza o meno del cantore.
LA CASTELLANA
Se il Saltarello è il re delle allegra serate campagnole, la Castellana ne è la regina. La tradizione vuole che il nome di questa danza derivi dal castello, nella cui corte veniva eseguita da cortigiani durante i loro ricevimenti, ma questa in realtà è soltanto una leggenda.
Essa si compone di due parti: “la parte cantata” e “il giro” ognuna delle quali ha il suo passo caratteristico nella danza.
CANTI DELLA PRIMAVERA
CANTO A POTÀ’
Arriva Marzo, le giornate iniziano ad allungarsi.
I primi tepori della primavera tirano fuori i contadini dalle stalle e li portano nei campi dove bisogna iniziare i primi lavori dopo il lungo inverno.
Uno dei primi lavori all’aria aperta è la potatura della vite che il contadino onora con il canto (ogni genere di lavoro ha il suo canto, con una sua specifica melodia).
SCACCIAMARZO
Molto caratteristica è la nenia dello Sacciamarzo che i ragazzi armati di “sgràgiola” o raganella (un rudimentale strumento costruito con pezzi di canna) vanno cantando di casa in casa il 31 Marzo. Questo canto veniva fatto a scopo augurale ma soprattutto per procurarsi qualche bella merenda.
PASSIONE DELLE ORE
Fra i cosiddetti canti di questua troviamo i canti della Passione, che venivano eseguiti casa per casa in occasione delle due domeniche di passione e nella domenica delle palme.
La Passione delle Ore è soltanto una delle tante Passioni che esistono nella tradizione. Ve ne sono molte altre.
I cantori della passione di Cristo partono a gruppi di tre persone: un organettista e due canterini e vanno a “cantà’ la pasció’” per le case della contrada.
Una volta arrivati di fronte alla casa dove devono cantare, uno dei cantori lanciava la frase di rito ai padroni di casa: “ahó, ce facéte cantà’?”.
Se i padroni accettavano, loro attaccavano.
STORIA DI MARIA IL GIOVEDÌ SANTO (“Parte Maria lu giuvidì Sàntu”)
Questa è la storia di Maria il giorno del Giovedì Santo, un altro canto di questua tipico del periodo di pasqua, che veniva eseguito insieme alle altre Passioni.
Questa Passione, però, ha un’altra melodia: veniva cantata sulle note della “passione stirata”, chiamata così perché il suo andamento musicale risulta più moderato. Vuoi per la lunghezza del testo, vuoi perché tutti i suonatori non erano perfettamente in grado di eseguirla, questo tipo di passione non era molto praticato, anche se era ed è più gradito agli ascoltatori.
PASSIONE DELLE 24 ORE DI NOSTRO SIGNORE
Anche questo canto è una Passione, ed è eseguita con un altro tipo di melodia, un po’ più movimentata.
IL CANTAMAGGIO
Sul finire del mese di Aprile, un’ennesima incombenza viene a distrarre brevemente il contadino dal lavoro nei campi: “il Cantamaggio”.
Il Cantamaggio è un altro canto rituale di questua, inneggiante i colori della primavera.
Al pari della Pasquella e delle passioni, anche il Cantamaggio viene portato di casa in casa.
I CANTI NELLA BELLA STAGIONE
Con il mese di Maggio, ha inizio la serie dei grandi lavori nei campi come: la fienagione, la mietitura, la trebbiatura e la scartocciatura del granturco.
Come abbiamo detto, durante il lavoro, il contadino canta. Canta in primavera e in tutta la buona stagione. I canti cosiddetti di lavoro, sono di varo contenuto, ma il tema che più ricorre è quello dell’ammirazione del bello, dell’amore e del corteggiamento.
I canti di lavoro, come quelli rituali hanno tutti una particolarità, quella di essere specifici.
Infatti quando un contadino cantava, il suo vicino poteva capire che tipo di lavoro stava eseguendo in base al canto che veniva fatto.
CANTO A FIENÀ’
Il canto relativo alla fienagione degli erbai di norma si eseguiva nella seconda metà del mese di Maggio.
CANTO A MÈTE’
Nella prima parte del mese di Giugno il contadino guarda con soddisfazione il proprio campo di grano che pian piano si stà maturando. Una mattina, arrivato il momento della raccolta, lui e i suoi familiari prendono le falci e raggiungono il campo. Lì giunti, tutti chinano il capo, dicono una preghiera e inizia la mietitura del grano. Mentre stanno eseguendo il lavoro il contadino inizia ad intonare il canto della mietitura (càntu a mète’) e, gli altri mietitori sparsi nella limitrofa campagna, ascoltano e rispondono anche loro al canto.
CANTO A BIRÒCCIU “o del carrettiere”
Terminata la mietitura, il grano veniva raccolto in piccoli mucchietti chiamati “cavalletti” e successivamente veniva trasportato nell’aia delle case aspettando la trebbiatura.
Come voi sapete, una volta non c’erano i trattori per trasportare il grano, ma venivano usati dei carri chiamati “biròcci” o “beròcci”, trainati da buoi.
Mentre il grano veniva trasportato, il conduttore del carro intonava la melodia specifica relativa a quel lavoro.
CANTO A LAORÀ’
Passato il tempo della mietitura, ogni attività canora sembra affievolirsi come se fosse sopraffatta dalla grande calura estiva. I giovani tornano a casa stanchi dopo aver lavorato giorni e giorni nelle campagne romane, tutto sembra spento.
Solo un canto, quasi un lamento si leva leggero durante le ore meno calde della giornata, quasi a ricordarci che il contadino resta sempre attivo. È il canto dell’aratore o “cantu a laorà'”, intonato con le mani strette sulle stegole dell’aratro mentre dissoda il terreno e lo prepara per la prossima semina.
CANTO A BATÓCCU O A CIRITANÈLLO
Dopo quella del grano, un’altra importante raccolta è quella del granturco, nel mese di Settembre.
La raccolta di questo cereale richiede una breve lavorazione, fattibile nell’arco della giornata.
Le pannocchie vengono raccolte durante il giorno e poi, sul calar della sera, vengono disposte come un cordone circolare, nell’aia delle case. Molte persone si riuniscono per effettuare la scartocciatura e quando hanno iniziato, qualche canterino inizia ad intonare questo canto.
Il canto a batoccu è un tipo di discanto polivocale monostrofico. Esso rappresenta come il saltarello, uno dei canti più conosciuti della tradizione marchigiana.
L’appellativo “batóccu” deriva dal fatto che in questo modulo musicale, ad imitazione del suono delle campane, si ha un battere e ribattere fra le voci dell’uomo e della donna.
CANTI D’ AUTUNNO
PASSIONE DELLE ANIME PURGANTI
Siamo alle soglie dell’inverno. Il contadino se ne torna a lavorare al chiuso, nel tepore della casa.
Questo canto è una particolare Passione dedicata alle anime del purgatorio.
CANTI D’AMORE E DI SCHERNO
Esistono, nella tradizione, molti canti di coppia, uomo – donna, o a voce singola, quasi sempre senza accompagnamento musicale, intonati quando se ne presenta l’occasione, che trattano di corteggiamento o di esaltazione della donna, di gradimento o di scermitura.
SERENATA ALLA BIRBANTESCA
Anche la donna aveva il suo canto di sfogo che non poteva eseguire sotto la finestra dell’amoroso o per le strade, ma lo eseguiva in casa durante l’esecuzione delle faccende domestiche. Tradizionalmente veniva eseguito in forma di botta e risposta tra uomo e donna.
CANTO A DISPETTO
Il fidanzamento non è sempre il paradiso degli innamorati. A volte per vari motivi si possono presentare dei dissidi, per i quali la coppia finirà per litigare. Dal litigio alla rottura talvolta la strada è breve e allora si può arrivare all’insulto senza alcun riguardo per la persona che si ha di fronte.
In questi alterchi fra fidanzati segue sempre una regola comportamentale che non permette all’uomo di inveire contro la donna, mentre alla donna è consentito di schermire i giovanotti pure in assenza di legami. Per lo meno in teoria.
Anche qui, come nei canti di corteggiamento, l’invettiva viene affidata al canto poiché solo in questo modo si possono lanciare messaggi offensivi senza subirne alcuna conseguenza.
ALTRI CANTI
LA GAJINÈLLA
La gajinèlla (la gallinella) è un canto molto diffuso nelle Marche. Questo canto è originario della zona di Filottrano, (un paese in provincia di Ancona) veniva chiamato così perché quando si ballava, la donna con la gamba destra, faceva cenno di tirare il collo alla gallina.
IL PIRULÌ
Anche il pirulì, come la gajinèlla, è un canto di origine Marchigiano. La sua zona di provenienza è quella di Apiro (un paese in provincia di Macerata).
Questo canto parla di un padrone che domanda cosa c’è per cena e trova sempre qualcosa che non va nel cibo, così fa mangiare tutta la cena al povero inserviente Pirulì.
L’ EMIGRANTE
Questa è una canzone di emigrazione. Dalla seconda metà dell’ottocento agli anni venti del novecento l’Italia, non dimentichiamolo, fu protagonista di enormi flussi migratori verso le Americhe.
Il brano parla di un ragazzo che abbandona la ragazza per emigrare in America e cercare fortuna là. Lui vuol far capire alla ragazza che non gli importa più di lei ma in realtà è molto dispiaciuto di abbandonarla.
BRANI RECITATI
LA SISTEMAZIÓ’
È un dialogo tra padre e figlia. Siccome la figlia è già grande, capace di mantenersi, il padre cerca di sistemarla, di farla sposare. Ma la figlia, avendo poca voglia di lavorare, non riesce ad accontentarsi di un uomo qualsiasi. A questo punto il padre cerca di suggerirgli qualche possibilità, ma siccome lei non è soddisfatta di ciò che il padre le suggerisce, decide di restare sola nella casa dei genitori.
LA ZÌLLA
Nei tempi andati, come voi sapete, prima che qualcuno si sposasse, la suocera con lo sposo o con i genitori facevano i conti di quanta roba i genitori lasciavano ai propri figli come dono per il loro matrimonio. La zìlla è proprio un colloquio avvenuto fra il futuro sposo e la futura suocera.